Il ciclista e il Suv, e questa storia che le automobili sarebbero sostenibili

Marco Mazzei
5 min readFeb 1, 2021

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La strada che da Ponte di Legno sale al Passo Gavia. Che cosa c’entra col titolo? Leggi il testo!

Si è molto parlato in questi giorni di un post nel quale Omar Di Felice, atleta delle mille avventure estreme in bicicletta, simbolo di un modo di esplorare il mondo basato quasi solo sulle proprie forze, ha annunciato una collaborazione con Volvo.

Nei commenti al suo post e in quelli in molti forum e gruppi si è letto di tutto: dalla delusione alle congratulazioni, da chi dice greenwashing a chi dice ciclotalebani.

Il tema non è nuovo, anche a me è capitato di trovarmelo di fronte sotto forma di possibile sponsorizzazione per Milano Bike City da parte di una casa automobilistica. Non si è fatto, ma la materia è complicata. Ci sono aziende che producono automobili compatibili con la bicicletta? Ci sono aziende che producono automobili compatibili con l’idea di sostenibilità? Ci sono, in generale, aziende che abbiano nella loro mission il miglioramento dell’ambiente e una certa radicalità nel perseguirla? Perché la sponsorizzazione di una casa automobilistica no e quella di un supermercato (che è magari tutto bio, poi si fa consegnare la merce da un Tir che posteggia in seconda fila) o di un’assicurazione ?

Se si percorresse fino in fondo la strada della coerenza bisognerebbe accettare relazioni commerciali solo con enti no profit o con B Corp o realtà simili, così come bisognerebbe scegliere Banca Etica e non altre banche. D’altra parte se si parla di radicalità anche l’estrema coerenza non è poi così estrema. Per dire che: non è facile e non è tutto scritto, non c’è un manuale.

Io penso che le aziende abbiano un ruolo fondamentale nello sviluppo di una società e possano avere un impatto forte nelle comunità locali: 10 grandi aziende che si mobilitano per la stessa iniziativa su Milano possono farla accadere in tempi rapidi. Penso quindi che le aziende vadano stimolate, incentivate, sostenute nei loro percorsi virtuosi — anche, o anzi a maggior ragione, quando sono del tutto profittevoli per loro.

Quindi non mi scandalizzo che un ciclista famoso collabori con un’azienda che si è già mossa nei confronti di alcune comunità. Da questo punto di vista Volvo è credibile e presentabile, anche il suo ultimo spot sui sensori per identificare i ciclisti lo conferma.

Il tema, semmai, è come viene presentata questa collaborazione, a partire già dalla foto: un uomo veramente molto piccolo rispetto a un’automobile veramente molto grande. Qui emerge la prima questione, e bisogna essere forse un pochino in malafede per non accorgersene: le dimensioni delle automobili hanno avuto conseguenze negative molto forti per la vita delle comunità (non c’è bisogno che faccia notare la differenza di spazio pubblico occupato da un Suv rispetto a quello di una city car) e per la vita dei ciclisti sulle strade extraurbane. Mi piacerebbe vedere quei ciclisti che sono tanto contenti per il nuovo Suv di Volvo alle prese con la stessa autovettura mentre stanno pedalando, per dire, da Ponte di Legno al Passo Gavia: le dimensioni contano, anche se alla guida c’è il più ciclista degli automobilisti. Facciamoci una pedalata su e giù dallo Stelvio con tutte le auto che sono come quel Suv, poi ne riparliamo.

Ma oltre alla foto c’è il testo, che è pure peggio. Perché io posso capire, come dicevo, la sponsorizzazione e il sostegno, ma non il tentativo di raccontare favole. Se uno deve andare a fare un’avventura al Polo Nord dovrà certamente anche usare un aereo e magari la compagnia aerea decide di sostenerlo: la presenterebbe come un’azienda modello della mobilità sostenibile o semplicemente la ringrazierebbe per il sostegno affermando che si tratta della compagnia aerea con i sedili più comodi?

Insomma, noi siamo contenti che Omar abbia il sostegno di Volvo, però non vogliamo passare per stupidi: anche la migliore delle case automobilistiche oggi non produce mobilità sostenibile, fine della questione.

Questo significa che le case automobilistiche sono il male? Ma nemmeno per sogno. Però producono automobili. Se volessero produrre mobilità sostenibile dovrebbero fare altro.

Esattamente come non vogliamo passare per stupidi quando qualcuno ci racconta che con le automobili elettriche avremo risolto tutto: no, le automobili elettriche sono un passo avanti (anche se qualche ombra inizia a calare sul settore), ma se sono Suv e vanno a 200 km/h non risolvono i problemi dello spazio pubblico e della pericolosità.

Questo caso, che non è isolato (abbiamo ancora tutti negli occhi lo spot entusiasta di Cassani che pedala insieme a un’automobile) e anzi un po’ mi dispiace perché stimo Omar e non vorrei buttargli addosso una croce che non merita — nel senso: le sue imprese restano mitiche però questo modo di presentare la questione Volvo è sbagliato — pone altre due questioni grandi.

La prima è sulla sensibilità rispetto ai temi: siamo in pochi a essere rimasti colpiti negativamente da quella foto, la maggior parte dei ciclisti-vado-in-bici-anchio l’ha accolta positivamente. D’altra parte basta vedere quello che succede all’inizio o alla fine di una gran fondo, quando c’è più traffico che in circonvallazione all’ora di punta, o attorno a qualsiasi gara ciclistica o al Giro d’Italia, per capire che purtroppo i temi dell’impatto ambientale legati all’uso dell’automobile non sono nelle corde della maggior parte delle persone che vanno in bicicletta.

Io ho smesso di andare all’Eroica perché la bellezza dell’esperienza evapora nell’ingorgo e nel caos che genera quando si tratta di ripartire. I territori danno per scontato che le persone arrivino in macchina per poi andare in giro in bici, nessun investimento viene fatto su altre forme di mobilità, con il risultato che tutto questo pedalare servirà a poco o a nulla, cioè sarà una bella esperienza individuale con conseguenze non positive sull’ambiente che pure ammiriamo. Un bel giorno quei territori che adesso ci fanno fare wownon ci saranno più e sarà anche un po’ colpa nostra. In un mondo normale quando Trenord ha deciso di impedire di fatto l’uso della bici sui treni regionali ci sarebbe dovuta essere la sollevazione di migliaia di sindaci ed enti del turismo, e invece.

L’altra questione è sulla nostra solitudine e sulla nostra debolezza. Quando vedi icone della bici che raccontano entusiaste di un’automobile capisci che questa industria, quella della bicicletta intendo, è debole, distratta o forse anche complice. Quando vedi che gli interessi dei produttori di biciclette sono rappresentati all’interno della stessa associazione che rappresenta le motociclette (Ancma) capisci che saremo sempre in una posizione di debolezza e i temi legati alla mobilità che la bici rappresenta saranno sempre in secondo piano o, peggio, in un finto primo piano.

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Marco Mazzei
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Written by Marco Mazzei

Milano, biciclette e viaggi. In bici a scuola con Massa Marmocchi, il Corvetto e AbbracciaMI. In love with technology. Il mio blog: https://www.mazzei.milano.it

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